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Epatite C, ancora senza cure troppi malati. C’erano decessi evitabili?

Finora oltre 156 mila persone avviate al trattamento coi farmaci antivirali, ma mancano all'appello almeno altre 300mila. Ma attenzione anche all'accumulo di grasso nel fegato: 1 italiano su 4 soffre di "fegato grasso", il 2-3% di steatoepatite non alcolica
Nel nostro Paese, secondo gli ultimi dati dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) aggiornati al 22 ottobre, sono 156.471 i pazienti con epatite C finora «avviati» al trattamento con le nuove terapie antivirali. Secondo alcune stime, ce ne sono almeno altri 300mila in attesa di essere curati. A minacciare la salute del fegato non è solo l’epatite C ma anche il grasso che si annida a livello della pancia e che si va a depositare proprio all’interno del fegato. Almeno un italiano su quattro, anche a causa dell’aumento dell’obesità, soffre di “fegato grasso” (o steatosi epatica), che rappresenta la porta d’ingresso per lo sviluppo della steatoepatite non alcolica (NASH), una malattia grave che può danneggiare irrimediabilmente quest'organo vitale. Delle insidie per il fegato e di come affrontarle hanno parlato medici, rappresentanti delle associazioni dei pazienti e delle istituzioni nel corso di un convegno a Roma, “Dopo l’HCV, le nuove emergenze per la salute del fegato”, promosso da Quotidiano Sanità e dall’azienda farmaceutica Gilead Sciences.

Il problema del «sommerso»
«Se si considera che il Piano ministeriale prevedeva che fossero trattati 80mila pazienti con HCV l’anno per 3 anni, ma in realtà i malati che hanno ricevuto la terapia sono 44-45 mila l’anno, siamo ancora lontani dall’obiettivo - spiega il presidente di Simit, Società italiana di malattie infettive e tropicali, Massimo Galli - . Da una parte, abbiamo un serio problema di “sommerso”, cioè di persone che non sanno di avere l’infezione o che non sanno di poterla eliminare o che non riescono ad accedere ai Centri prescrittori in cui poter essere trattati; dall’altra, gli stessi Centri hanno difficoltà a sostenere il carico di lavoro visto che i finanziamenti hanno coperto il costo dei farmaci ma mancano ancora investimenti in iniziative per l’emersione del sommerso e sul potenziamento dei Centri prescrittori». 

Persone ignare di avere contratto il virus
Ma dove cercare il “sommerso”? «La diffusione del virus è avvenuta nella maggioranza dei casi quando anche in ospedale, o nelle cure a domicilio, non si usavano materiali usa e getta, per cui ci sono molti anziani positivi all’HCV e non lo sanno – spiega Galli -. Si tratta di persone spesso affette anche da altre malattie, che per questo frequentano gli ospedali e che possono diventare un veicolo di trasmissione del virus. Altre persone a rischio di aver contratto la malattia potrebbero essere quelle con dipendenza da sostanze per via iniettiva e/o inalatoria, maschi che hanno rapporti sessuali con altri uomini, detenuti, persone che provengono da paesi dove la diffusione del virus è particolarmente alta. Per far emergere il sommerso – sottolinea il presidente Simit – è necessario attivare dei protocolli di attenzione nei confronti di queste persone in modo da indagare sulla presenza del virus ed eventualmente curarle se positive. È fondamentale coinvolgere i medici di medicina generale, attivare dei percorsi facilitati territorio-ospedale per l’accesso al trattamento delle epatiti croniche, eliminare un po’ di burocrazia, non disperdere il finanziamento del fondo pubblico per i farmaci innovativi». 

Eradicare l’epatite C: obiettivo ancora lontano?
«Siamo molto preoccupati per il futuro perché sembra che l’eradicazione dell’epatite C non sia più tra le priorità del Servizio sanitario nazionale – denuncia Ivan Gardini, presidente dell’associazione dei pazienti EpaC – . Non c’è ancora un piano nazionale che indichi come rintracciare tutti i pazienti sommersi, nonostante una persona su tre arrivi già gravemente ammalata al centro prescrittore della terapia; nella manovra finanziaria non sono previsti fondi specifici per conseguire l’obiettivo prefissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità di eradicare l’epatite C entro il 2030 e, inoltre, dopo le recenti affermazioni del sottosegretario alla Salute, Maurizio Fugatti, in Commissione Affari Sociali, temiamo che possa essere saccheggiato il fondo per i farmaci innovativi spostando le risorse avanzate in altri settori. Cercheremo di capire – conclude Gardini - se esistono responsabilità penali per i decessi evitabili di pazienti con complicanze da epatite C che potevano essere curati da ormai tre anni e non lo sono stati». 

Attenti al girovita
A minacciare la salute del fegato, c’è anche la crescente diffusione della steatosi epatica non alcolica, il cosiddetto “fegato grasso”: si stima che ne soffra almeno il 25 per cento della popolazione, percentuale che aumenta con l’età e soprattutto tra le persone obese e con diabete. «Questa condizione - spiega Salvatore Petta, segretario dell'Associazione Italiana per lo Studio del Fegato – evolve, in un sottogruppo di persone per fortuna molto piccolo (2-3 per cento), nella steatoepatite non alcolica (cioè non associata al consumo di alcol), che comporta un alto rischio di progressione verso malattie del fegato importanti come fibrosi, cirrosi e carcinoma epatico. A causa dell’aumento di persone obese in Italia, tra cui anche bambini, - prosegue Petta - la prevalenza della steatosi e della steatoepatite non alcolica (non ancora riconosciuta come malattia) sta crescendo. La buona notizia è che sia la steatosi sia la steatoepatite possono regredire: è stato osservato che un dimagrimento di almeno il 7 per cento del peso corporeo è sufficiente per innescare la regressione, quindi è fondamentale modificare lo stile di vita, oggi l’unica strategia terapeutica disponibile».

Fonte: corriere.it

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